Il cognome

Vuoi sapere come si chiama Dino di cognome?
Se glielo chiedi non te lo dirà mai, perché si arrabbia, come gli è successo un giorno quando glielo hanno chiesto.
A dir la verità non aveva tutti i torti ad arrabbiarsi, poteva andar meglio, ma per come sono andate le cose chiunque se la sarebbe presa!
Ecco come sono andate...
Primo giorno di scuola: ogni bambino arrivò con il suo zainetto in classe e si sistemò nel proprio banco.
Anche Dino fece così e poi, iniziò a tirar fuori le cose dallo zainetto e a riporle sul banco, come facevano tutti i suoi compagni.
I suoi 2 o 3 amici erano stati sistemati un po’ distante da lui e questo lo inquietava non poco, perché in caso di necessità sarebbe rimasto solo.
Ma, neanche il tempo di soffermarsi su queste cose che la maestra, dopo aver dato il benvenuto a tutti e cercato di creare un’atmosfera familiare, annunciò che doveva far l’appello, operazione necessaria per conoscere e far conoscere ognuno a tutti.
Ognuno veniva chiamato per nome e poi doveva dire il proprio cognome e dove abitava.
Tutto semplice e tranquillo, infatti, e, mentre la maestra cominciava a chiamare i primi nominativi e a far domande, Dino guardava curioso e un po’ timoroso gli interpellati che non erano meno timorosi di lui.
Arrivò il suo turno: “Dino! Ti piacciono i tuoi compagni?”.
“Sì”, con un tono quasi impercettibile, mentre con le mani piegava un quaderno.
“Come ti chiami di cognome?”.
“Como”, con un timbro, questa volta un po’ più sostenuto.
In quel preciso momento un mormorìo si diffuse nella classe e alcuni bambini abbassarono la testa sul banco, quasi nascondendosi, ridacchiando.
Una voce di bambino anonima si materializzò improvvisamente:”E’ un comodino, comodino!”.
Dino sbiancò, diventò sudaticcio, ma restò immobile: la mamma lo aveva avvertito che qualcuno avrebbe potuto prenderlo in giro per quell’accostamento di cognome con nome.
La maestra cercò di aiutarlo. “ Bambini, non è il caso di comportarsi così, ognuno ha il suo nome e deve essere rispettato, capito? Diventate bravi amici tra di voi invece di fare queste cose...”.
Tutto filò poi successivamente liscio fino al momento dell’intervallo, quando la maestra uscì sull’uscio per chiamare un bidello.
“Lavandino!” - chiamò uno - “scusa, volevo dire comodino, intanto è tutto nello stesso bagno, no?”.
Dino afferrò quello che gli capitava tra le mani, una gomma, e la scagliò contro il compagno che la evitò; la gomma rimbalzò sul banco e finì addosso alla maestra che stava rientrando.
“Chi è lo spiritoso?” chiese la maestra.
Dopo una pausa in cui si sarebbe sentita volare una mosca, Dino si alzò: “Io”.
Poi Dino raccontò il fatto confortato dalla testimonianza dei compagni.
La maestra semplicemente chiese il quaderno dei 2 bambini, vi scrisse qualcosa che loro non potevano capire e poi raccomandò loro di riportare l’indomani il quaderno da lei con la firma del papà o della mamma.
Quel giorno, in qualche modo tutto rientrò nella normalità e così anche i giorni successivi.
Dopo qualche tempo le 2 mamme andarono a parlare con la maestra e la sera stessa del colloquio, mamma chiamò Dino vicino a sé e gli disse: “Dino, come va adesso a scuola? Sei contento dei tuoi compagni?”.
“Sì, mi piacciono, alcuni sono miei amici, ma qualcuno mi prende in giro: mi chiamano lavandino, comodino...e io ho tirato la gomma...”.
“Senti, sai che ho parlato stamattina con la maestra? Ha detto che sei un bravo bambino, ma che devi essere meno impulsivo”.
“Ma, mamma! Uffa! Non posso farmi sempre prendere in giro da quelli là! Un giorno o l’altro gli spacco la faccia a quello!!”.
“Vuoi ascoltarmi un attimo con calma?”.
“Ok, mamma, ma sbrigati!”.
La mamma lo fissò con sguardo di rimprovero, ma poi si raddolcì e le sue parole uscirono suadenti: “Per quanto ti abbia detto quel bambino, tu hai fatto male a tirargli la gomma, lo sai?”.
“Perché, mica gli facevo male...”.
“Ti sarebbe piaciuto se l’avessero fatto a te?”.
“No, ma se lo meritava!”.
“E se si fosse meritato un pugno? Sarebbe andato bene anche quello?”.
“Certo!”.
“Sai come si chiamano queste cose?”.
“No”.
“Violenza, sono pieni i giornali e la televisione di queste cose.”.
“Ma io non voglio fare violenza...”.
“Se pensi di farti giustizia da solo, sì!”.
“Come faccio, allora, per farli smettere?”.
“Guarda, potresti dirlo alla maestra, ma già lei starà attenta a certe cose...
Io ti suggerisco un metodo infallibile, vuoi credermi?”.
“Va be’, vediamo!”.
“Quando capiterà che ti prenderà ancora in giro, non dovrai arrabbiarti...”.
“Ma mi viene da arrabbiarmi, mamma!”.
“Lo so, non voglio dire che non ti viene da arrabbiarti, solo che non lo devi far vedere, capito?”.
“E come?”.
“Prova a scherzarci su e a metterti a ridere: per esempio, se ti chiama comodino, tu rispondi che preferisci un armadietto che è più bello e spazioso di un comodino e che ti è sempre piaciuto un armadietto per te nella tua camera. Chiedi anche a lui se ha un armadietto nella sua camera come piace a lui...capito?”.
“Credo di sì, devo far finta di niente e non arrabbiarmi!”.
“Esatto, ma adesso non parliamone più, perché questa cosa non deve diventare troppo importante, va bene testolina mia?”.
“Va bene” rispose Dino tranquillo.
Passarono circa 15 giorni senza novità e senza che la mamma sapesse nulla, perché Dino non ne parlava più.
Una sera squillò il telefono e rispose mamma: “Chi sei? Ah, sei Luca?...Oh grazie, certo che è contento, verrà certamente! Ciao, saluta la tua mamma!”.
“Chi era?” chiese Dino.
“Sai chi era? Luca, quel bambino che ti prendeva in giro...” rispose la mamma.
“Come fai a saperlo?”.
“Questo non importa...allora vuol dire che mi hai ascoltato, bravo!”.
“Sì, mamma, ho fatto così e ora siamo diventati amici: lo sai che adesso Luca è mio compagno di banco?”.
“Davvero?”.
“Sì,sì, ma quanti armadietti, comodini e lavandini ho dovuto tirar fuori: se mi avessi chiamato con un altro nome, magari queste cose non sarebbero successe e io non mi sarei arrabbiato così tanto! Comunque, se puoi, non dire in giro il mio cognome insieme al mio nome...”.
“Stai tranquillo! Non preoccuparti, ci sarà sempre un Luca di turno che farà così e tu non potrai evitarlo: devi solo rispondere con il cervello come ti ho insegnato...
Allora, gli ho risposto che vai alla sua festa, domani, ho fatto bene?”.
“Certo, e quando sarà il mio compleanno lo inviteremo, vero mamma?”.

Nessun commento: